L’ECO DI DON BOSCO N. 3/2021 – ANNO CIV

L’ECO DI DON BOSCO N. 3/2021 – ANNO CIV

Un felice incontro: don Bosco e Genova

1. La via per Genova

Il 26 ottobre 1871 don Bosco invia i suoi Salesiani a Genova per dare vita ad un’Opera per ragazzi poveri e abbandonati. Villa Oneto in quel di Marassi era solo una prima sosta dell’Ospizio San Vincenzo de’Paoli, che, dopo un anno, sarà trasferito a Sampierdarena. Ma il filo che collega Don Bosco a Genova inizia 30 anni prima. Nel 1841 infatti una nobile famiglia genovese invita il giovane sacerdote come precettore dei figli. Don Bosco ha 26 anni. Consigliatosi con la mamma Margherita rifiuta. Altra era la sua missione. Genova tuttavia resterà, si può dire, la “città – orizzonte”, in cui potrà realizzare il suo sogno, ostacolato a Torino. Solo nel 1871 una sua opera sorgerà nella villa del barone Cataldi detta villa Oneto nella zona di Marassi. Così si apre in modo esplicito la via dell‘incontro “Don Bosco – Genova”. Provvidenziale per il Santo. Nel ventennio 1862 – 1882 infatti realizzerà il suo eccezionale dinamismo profetico: un fiorire di attività approvate a Roma che “sconvolgono” il vescovo di Torino ma sono apprezzate da altri vescovi, in particolare, dal il vescovo di Genova Magnasco.

2. L’avvicinarsi di Don Bosco a Genova

Genova è nell’orizzonte di Don Bosco per la sua posizione geografica, sociale e soprattutto per il rapporto col vescovo. Il Santo scende nella Superba per cercare aiuto … diverrà poi “portare aiuto”.

Ricordiamo alcune tappe più significative di questo “avvicinarsi”:

Nel 1857 don Bosco viene a Genova in cerca di aiuto da parte di personalità ragguardevoli, ecclesiastici e nobili. Ha bisogno di farsi conoscere e deve fare propaganda delle Letture Cattoliche. Inizia così a tessere la tela di relazioni, prodromi provvidenziali di avvenimenti futuri.

Il vescovo di Genova è Mons Andrea Charvaz, grande estimatore di don Bosco. In questa prima sosta Don Bosco è ospite del marchese Antonio Brignole Sale. Un’ospitalità che apre la porta a quanti lo vogliono conoscere. Incontrerà don Montebruno che aveva fondato l’Opera Artigianelli come don Bosco a Torino. Tra i due nasce stima, amicizia, volontà di aiutarsi. Addirittura don Momtebruno vorrebbe fondere la propria opera con quella di don Bosco. Conoscerà don Frassinetti, teologo moralista che gli sarà di grande aiuto per le Letture Cattoliche, di cui scriverà cinque libretti. Volle conoscere le Conferenze genovesi di San Vincenzo de’ Paoli, da cui verrà, 14 anni dopo, la richiesta di fondare un’opera a Genova, l’Ospizio San Vincenzo de’Paoli nella villa Oneto

1864: L’ultima gita autunnale di don Bosco: a Genova. oltre il mare

E’ molto di più che una grande passeggiata autunnale con i suoi ragazzi … con attrezzi per allestire il palco, la banda e via in treno per Genova… ove furono accolti con grande cortesia dall’arcivescovo Mons. Andrea Charvaz. Ma la voce del Signore muoveva diversamente il cuore del Santo. Il mare gioia per i suoi razzi, ma egli doveva andare altrove. Don Bosco e i suoi giovani saranno ospiti per cinque giorni (2-6 ottobre) del Seminario maggiore. Il vescovo ricolmò don Bosco e i suoi ragazzi di ogni attenzione. Don Bosco col suo stile conquistò la simpatia di tutti. Si tennero due rappresentazioni con musiche e canti … alle quali volle essere presente anche il vescovo.

I giovani visitarono la città, il mare e con numerose barche salirono anche su una nave da guerra. Col trenino “Genova – Pegli” la comitiva si porterà alla faraonica villa Pallavicini di Pegli. Grande è l’amicizia del Santo col marchese Ignazio che aveva fatta costruire la villa. Nel pomeriggio dopo il pranzo succulento per tutti i giovani, il marchese volle accompagnare don Bosco fino alla stazione … Per scambiare ancora qualche parola col Santo. Nel salutarlo gli diede una busta con un consistente offerta per i suoi ragazzi. La mattina del 7 ottobre, alle ore 4,30, erano già sul piede di marcia con i bagagli e gli attrezzi del teatro per recarsi dal seminario alla stazione di Genova e partire per Serravalle. Qui c’è don Pestarino di Mornese che li attende che è salesiano dal 1863…

Lo straordinario di alcuni incontri:

In quest’ultima gita di ottobre i giovani pensavano al mare, oltre Gavi puntava il cuore del Santo.

– A meta strada tra Serravalle e Gavi incontra il Can. Gaetano Alimonda. Insieme entrano a Gavi e il pranzo per i giovani preparato a Mornese fu consumato a Gavi per insistenza del canonico… era genovese. E sarà nel 1884 cardinale arcivescovo di Torino … 20 anni dopo consacrerà vescovo don Cagliero, il primo vescovo salesiano. – A Mornese don Pestarono presenterà a don Bosco un gruppo di ragazze, fra le quali Maria Mazzarello (8 ottobre 1864) … fondatrice con don Bosco delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Il 10 ottobre don Bosco andò con i suoi ragazzi a fare una passeggiata a Lerma … a pochi chilometri da Mornese … Incontra don Lemoyne un giovane sacerdote genovese con qualche problema … Egli si trovava a Belforte e la mattina sul destarsi sentì chiaramente una voce: “Vai a Lerma e troverai don Bosco”. Si consiglia col marchesino Carlo Cattaneo che gli disse: “Sogno o non sogno, andiamo a Lerma e interroghiamo il parroco”. Andarono e trovarono don Bosco.

Il 17 ottobre la comitiva rientro a Torino.

3. 1871- 1872 Ospizio di San Vincenzo de’ Paoli nella zona di Marassi

La preoccupazione per I giovani in difficoltà è il vero motivo dell’incontro tra Don Bosco e Genova, ma il mondo giovanile coinvolge l’intera società. Un’Opera a Genova sembra affiorare nel desiderio espresso da don Bosco di conoscere la conferenza di San Vincenzo de’ Paoli. Prenderà forma nella Villa Oneto a Marassi quando la conferenza di San Vincenzo di Borgo Incrociati pagherà 500 Lire per l’affitto.

Nell’accettare la fondazione di un’Opera nella villa Oneto sul declivio orientale della Val Bisagno Don Bosco osserva che una villeggiatura privata e fuori centro è poco adatta per un Ospizio di Arti e Mestieri. Tuttavia si dice contento di cominciare l’Opera nella certezza che si sarebbe trovato un locale più adatto. Seguiamo il racconto del cronista della Casa di Sampierdarena nel primo volume intitolato

Brevi notizie intorno all’Ospizio di San Vincenzo de’ Paoli.

Nel primo capitolo tratta dei primordi dell’Opera anno 1871-172 a Marassi e Sampierdarena. Don Bosco ha una missione di carità da compiere e lo zelo per la salute delle anime lo rende infaticabile e gli fa superare gli ostacoli che si frappongono per il raggiungimento dello scopo. Però più che nelle campagne la piaga della immoralità e della irreligione serpeggia nelle grandi città e nei maggiori centri operai, per la minor comodità dell’istruzione come dell’educazione cristiana. E questa è la ragione per cui Don Bosco desidera aprire scuole ed ospizi nelle grandi città per provvedere al bisogno materiale e morale di tanti giovani , i quali o perché orfani o perché abbandonati, sono nel pericolo di mettersi nella via del disonore e anche del carcere. Uno di questi Ospizi, che a Don Bosco sta molto a cuore e per il quale dopo quello di Valdocco impiegherà moltissime cure, è senza dubbio l’Ospizio di San Vincenzo de’ Paoli aperto a Marassi – Genova , e che dopo un anno trasferito a Sampierdarena. I primordi di questo Ospizio hanno grande somiglianza con l’Oratorio di Torino di Valdocco. Anche a Genova non si ha altro appoggio che la Divina Provvidenza e la carità dei benefattori non verrà mai meno.

Il 26 ottobre del 1871 Domenico Prefumo e Giuseppe Varetti, soci della conferenza San Vincenzo de’ Paoli, accolgono con esultanza e trepidazione i salesiani inviati a Genova. Sono don Albera, due giovani salesiani, tre capi laboratorio ed un cuoco. Al momento di partire Don Bosco aveva con affetto raccomandato a don Albera, il direttore della nuova opera, di non darsi pensiero di niente e di riporre tutta la fiducia nel Signore. Gli chiese poi se avesse bisogno di qualche cosa. “No, signor Don Bosco – rispose – La ringrazio, ho con me 500 Lire”. E Don Bosco: “Non è necessario tanto denaro. Non ci sarà la Provvidenza a Genova? Va’ tranquillo, la Provvidenza penserà anche a te”. Ritirò le 500 Lire e gli lasciò una somma molto inferiore.

E la Provvidenza non mancò. Accompagnati alla villa Oneto dai soci della San Vincenzo i tre salesiani s’accorsero che nella villa mancava tutto e occorreva aiutare la Provvidenza ad aiutarli. Proprio come agli inizi di Valdocco, con una differenza, a Torino Don Bosco trovò la tettoia Pinardi, a Genova don Albera troverà una villa … una vasta dimora ma priva di tutto. Mancavano i letti. Bisognava arrangiarsi di notte sulle sedie, poi su pagliericci improvvisati. Immense sono le difficoltà e neppure i soci della San Vincenzo riescono ad assicurare qualcosa di meglio. L’eroico drappello capisce che bisogna confidare nella Provvidenza … che non si fece attendere. Una colonna di muli carichi di suppellettili diversi muove verso l’Ospizio. La colonna continuò a portare anche nei giorni seguenti, sicché quei primi salesiani furono provvisti del necessario. Quanto al vitto frugalità assoluta. Pane solo nelle feste e scarso. Polenta e patate con un po’ di minestra supplivano a tutto. (1) Il nome di Ospizio San Vincenzo de’Paoli esplicita ciò che unisce la città e Don Bosco: la carità. Dalla carità sorge l’Opera che vive di carità. E’ la Provvidenza sempre sosterrà i Salesiani a Genova, allora come ora …

In novembre si accolgono i primi giovani. A sceglierli sano i soci della San Vincenzo. Saranno i primi apprendisti calzolai. Sempre in novembre arrivano da Torino sette giovani esperti dei mestieri ad impiantare piccoli altri laboratori , quello dei sarti e quello dei falegnami. L’orario della giornata era quello sperimentato a Valdocco: catechismo al mattino, poi dalle 8,30 in avanti in laboratorio.

Il numero dei giovani cresce e a giugno 1872 arriva a 40. Don Bosco scende a Genova nel novembre del 1872 per confortare i suoi figli e fare loro capire che non sarebbero rimasti lì per molto tempo.

4. Don Albera, il piccolo Don Bosco di Genova.

Non credo di andare lontano dalla verità storica affermando che Don Albera fu il cuore e la mente di don Bosco nell’incontrare Genova. Don Bosco era il dono di Dio alla città, don Albera la realizzazione. Don Albera, copia vivente di Don Bosco, conquistava con la sua amabilità. A Marassi è l’unico sacerdote, confessa, celebra predica, organizza feste, anima le ricreazioni. Cresciuto alla scuola di Don Bosco nell’Oratorio di Valdocco fa tutto quello che si faceva a Valdocco e al modo di Don Bosco. Ha assimilato profondamente lo spirito di Don Bosco che farà rivivere intensamente nella sua decennale presenza a Genova. Ricorda lui stesso nel 1920 da successore di don Bosco, nell’ultimo anno di vita:

Cinque anni ho passato con il Buon Padre (1858-1863) respirando quasi la sua stessa anima, perché si può dire senza esagerazioni , da noi giovani di allora si viveva interamente della vita di lui, che possedeva in grado eminente quasi una atmosfera le virtù conquistatrici e trasformatrici dei cuori (…) Mi sentivo fatto prigioniero da una potenza affettiva che mi alimentavano i pensieri, le parole, le azioni, ma non saprei descrivere meglio questo stato e felicità, dell’animo mio, che era pure quello dei miei compagni d’allora : sentivo di essere amato in modo non mai provato prima. (…) L’amore di Don Bosco ci avvolgeva tutti interamente quasi in un’atmosfera di contentezza da cui erano bandite pene , tristezza e malinconia “ .

Respirare quasi la sua sessa anima! Vivere interamente nella vita di Lui! Incredibile!

Quel mondo, quello spirito di famiglia Don Albera lo impiantò a Marassi e a Sampierdarena. Possiamo ritenerlo non il gestore ma il cofondatore dell’Ospizio di San Vincenzo de’ Paoli a Genova. L’Ospizio avviato nella zona di Marassi e sistemato in modo definitivo a Sampierdarena, cresce come copia fedele dell’Oratorio di Valdocco. Don Albera edifica tutti per la sua semplicità di modi e di santità di vita . A tutti era esempio di dedizione toltale di sé agli altri. A ragione un giorno il canonico Gaetano Alimonda, poi cardinale a Torino negli ultimi cinque anni di vita di Don Bosco, al salesiano don Domenico Canepa – dopo aver predicato in San Gaetano una missione per le Società Cattoliche – alludendo alla figura straordinaria di don Albera , disse. “Voi salesiani siete fortunati di avere questa autentica perla di sacerdote”(2)

Don Albera seguendo l’esempio e i consigli di Don Bosco, ebbe grande fiducia nella Provvidenza. Fu uno squisito ed intelligente educatore. Mise in atto per l’Ospizio di San Vincenzo de’ Paoli le sue doti di organizzatore, costruttore e animatore spirituale e soprattutto la sua bontà. I giovani ed i confratelli sentivano in lui il padre sensibilissimo alle loro svariate necessità, la pietà che trascina al bene, la mente colta, aperta che intuiva le loro disposizioni psicologiche e ad esse si conformava nel porgere ad ognuno il suo aiuto. Una conferma indiretta la troviamo in una lettera di Don Domenico Canepa, sopra citato, che ricorda i primi momenti di vita dell’Opera. Ragazzetto, Domenico abitava nei pressi della casa di Marassi.

Ricordo quando Don Albera e i suoi compagni giunsero a Marassi. Noi guardavamo con una certa diffidenza i nuovi venuti . Forse a cagione del vicino Istituto di discoli nella vallata del Bisagno si applicò tale qualifica anche a loro che venivano raccomandati dalla conferenza: ciascuno però si convinse che tale nomignolo non conveniva punto. Con meraviglia e con senso di piacere si osservava la familiarità che esisteva fra Superiori e alunni; conversavano, giocavano insieme e alla sera sul terrazzo cantavano bellissime lodi alla Madonna che immensamente piacevano agli abitanti del vicinato e il cui eco saliva gradito fino al Santuario della Madonna del Monte, sito quasi in faccia all’Ospizio. La nostra meraviglia più grande era specialmente vedere quei giovani giocare o passeggiare in mezzo ai filari, senza che provassero la tentazione di staccare qualcuno dei magnifici grappoli d’uva” (Don Domenico Canepa, lettera 25.VI- 1925)

Il giovane della Lettera è un orfanello che lavorava presso uno zio accanto all’Opera salesiana. Una sera, verso la fine dell’anno, stava scalzo,in maniche di camicia , appoggiato alla porta dell’Ospizio. Si sentì improvvisamente prendere da Don Albera che gli disse: “Vuoi venire con me? – “Sissignore”, rispose. Don Albera parlò con lo zio del ragazzo e se lo portò a Sampierdarena ove divenne salesiano e fu ordinato sacerdote, uno trai i più cari a Don Bosco negli ultimi anni della sua vita e zelante maestro di noviziato in Italia e i n Francia. Domenico Canepa è il secondo sacerdote salesiano genovese dopo don Lemoyne.

2021: centenario della morte di Don Albera.

Noi Salesiani di oggi siamo riconoscenti a questo “padre costruttore” dell’Opera: Don Bosco la fondò, Don Albera la costruì.

Scrive Don Guido Favini: ”Uscito dal nido di Valdocco dopo un conveniente periodo quasi decennale di addestramento alla scuola diretta di Don Bosco, pure lui a metà con Don Bosco seppure in misura diversa per la giovane età, Don Albera è inviato a Genova, non per continuare imprese poste da altri in cammino, ma per immettere nelle opere salesiane un corpo nuovo”. E aggiunge: Lo guida un’idea potente: “rendere testimonianza all’altro, grazie al quale, si è e si ha ciò che si ha. L’altro ossia Don Bosco sta al sommo di ogni suo pensiero, di ogni parola, di ogni desiderio”. (3)

5. Sampierdarena

Un nome che tutti salesiani del mondo conoscono! L’evolversi vorticoso della città nella seconda metà dell‘800, incrocia Don Bosco che, con la scuola di Arti e Mestieri, offre la possibilità di un’istruzione di base e l’apprendimento di un mestiere ai tanti giovani che sono accorsi o migrati nel mondo dell’industria che vigorosa fiorisce nella zona di Sampierdarena. Da luogo di villeggiatura per le famiglie nobili di Genova , Sampierdarena diventa a metà ‘800 zona industriale e luogo ideale per chi voglia lavorare in mezzo a giovani in preda a bisogni materiali, morali e spirituali. Nell’attuale groviglio di costruzioni restano ancora alcune ville costruite da nobili e ricche famiglie della città. Sono il ricordo vivente dei tempi della bellezza del borgo Sampierdarena adorna di ville specchiantesi nel mare e dedicate agli ozi e ai piaceri. Solo per esemplificare citiamo Villa Imperiale Scassi iniziata nel 1560, denominata “La Bellezza”.

Scrive Don Antonio Miscio nella Seconda Valdocco: Villa Imperiale era in cima al colle e scendeva verso il mare solennemente adornata di viali, di giardini degradanti a terrazze, di alberi maestosi. Via Cantore la spezza nel suo insieme. L’afflissero poi molte vicende: utilizzata come caserma poi come ospedale. Ricordiamo Villa Doria, acquistata verso fine settecento da un Franzoni, donata poi alle suore, le attuali Franzoniane. Non possiamo dimenticare infine a ridosso dell’Ospizio San Vincenzo de’ Paoli, villa Pallavicini Durazzo, acquistata nel 1889 dai Salesiani … E’ rimasta impressa nella mia mente. Ho vissuto qui i primi due di tirocinio (1953- 55)… Era ancora in piedi anche se malandata. Poi ha lasciato lo spazio al Palazzo 58, l’attuale sede dell’Oratorio.

Nella seconda metà dell’Ottocento “Cominciarono a nascere opifici nuovi non sempre in armonia con la bellezza, non curanti affatto di rispettarla. Giardini furono sacrificati. Viali scomparvero. Sottoposta ogni bellezza ad un umiliante destino, appena giustificabile dalle necessità economiche ed industriali dei tempi moderni a Sampierdarena incombenti e arrivati cinquant’anni prima che in altre zone industriali in Italia. Non è rimpianto. E’ solo proporre, raccontare la storia di una zona un tempo oltre ogni meraviglia bella e spianata al sole, avviata a diventare un accumulo scomposto di caseggiati, un intreccio di vie anguste, uno sfrenato assordante turbinio di traffico senza molto ordine e senza troppa pulizia”. (4)

Sampierdarena a metà ‘800 diviene la zona industriale di Genova tanto che fu chiamata la Manchester d’Italia. Il moltiplicarsi della sua popolazione non avviene per l’aumento della natalità ma per il grande flusso migratorio dalla campagna come da altre regioni del Paese: necessità di lavoro o speranza di pronti e facili guadagni attiravano tante persone verso Sampierdarena. Si avvia la questione operaia e la questione giovanile. Non tutti i nuovi arrivati erano praticanti in fatto di religione. La miseria materiale si univa a quella morale e le vittime erano soprattutto le giovani generazioni . A metà’800 i giovani per la società non avevano voce. Sui giovani Don Bosco, invece, scommise la sua vita e questa scommessa affidò ai Salesiani. Diverse sono le povertà delle giovani generazioni nel cammino del tempo, ma il loro grido di aiuto è lo stesso. Don Bosco indica la via della risposta, la pedagogia della bontà, la passione educativa espressa nello stile salesiano. La sentiamo ben compresa da Duvalllett, apostolo della rieducazione dei giovani. Negli ultimi decenni del ‘900 così scrive ai Salesiani:

Voi avete opere, collegi, oratori, case per giovani, ma non avete che un tesoro di Don Bosco. In un mondo in cui i giovani sono traditi, disseccati, triturati, strumentalizzati psicanalizzati, il Signore vi ha affidato una pedagogia in cui trionfa il rispetto per il ragazzo,della sua grandezza, della sua fragilità e della sua dignità di figlio di Dio. Conservatela, rinnovatela rinvigoritela, arricchitela di tutte le scoperte moderne, adattatela a queste creature del ventesimo secolo, ai loro drammi che Don Bosco non ha potuto conoscere. Ma per, carità, conservatela. Cambiate tutto ; perdete, se è il caso, le vostre case, ma conservate questo tesoro, costruendo in migliaia di cuori la maniera di amare e di salvare i giovani che è l’eredità di Don Bosco”. Dobbiamo riconoscere che non c’era luogo più indicato di Sampierdarena, per la missione di Don Bosco.

6. Da Marassi a Sampierdarena

Nel 1872 Don Bosco e Genova vivono un rapporto di sicura reciproca conoscenza e accoglienza: famiglie aristocratiche e gente semplice conoscono Don Bosco e sono pronti ad aiutarlo. E Don Bosco si fa “genovese” con un’Opera simile a Valdocco. Le autorità civili sono allarmate perle giovani generazioni e l’istituzione religiosa è in difficoltà ad assicurare loro l’assistenza religiosa e morale. All’emergenza giovanile il Santo risponde con la scuola di Arti e Mestieri.

La sua opera educativa nell’aderire alla realtà storica si carica di valenza sociale. Non teorizza una terza via tra liberalismo e marxismo. Percorre un via di ricupero della solidarietà smarrita dal liberalismo in nome della libertà e della concorrenza. Nel medesimo tempo rifugge dallo scontro di classe teorizzato dal marxismo.

La sua intuizione nasce dal Vangelo che lo porta ad evitare l’odio di classe e favorire la solidarietà, ancora prima della nascita del Manifesto di Marx e nel tempo del liberismo trionfante. A partire dalla sua esperienza giovanile in vari ambienti di lavoro intuì che il problema sociale era un problema umano non risolvibile se non col sentimento di amore fra gli uomini lievitando di nuovo spirito il tessuto sociale.

Il capitolo generale dei Salesiani del 1886 ( Don Bosco è presente) recita: “Il fine che si propone la Società Salesiana nell’accogliere ed educare i giovani artigiani si è di allevarli in modo che, uscendo dalle nostre case, dopo avere compiuto il loro tirocinio, abbiano appreso un mestiere onde guadagnarsi il pane della vita, siano istruiti nella religione ed abbiano le cognizioni scientifiche opportune al loro stato”.

Il trasloco da Marassi a Sampierdarena previsto per l’11 novembre, fu ostacolato da un autentico nubifragio sulla città. Vennero allora mandati avanti cinque artigiani con un salesiano. Il drappello prese possesso del ex convento dei teatini e della chiesa diroccata, ma a sera non avevano pane per saziare la fame. Se ne accorse un vicino di casa che portò loro alcune provviste. Era il primo benefattore ricordato nella cronaca della casa. Stefano Delcanto fu la mano della Provvidenza.

Il tempo finalmente si rasserenò e il 15 novembre si mosse Don Albera col resto della carovana a piedi, ognuno col proprio fagotto.

La storia del Convento e della Chiesa che diverrà l’Opera Don Bosco è piuttosto complessa. Ne parliamo solo per cenni. Le sue radici risalgono al 1572 quando il marchese Giovanni Battista Di Negro lascia alle sorelle un legato di 10.000 scudi d’oro a condizione che si costruisse una chiesa in onore di San Giovanni Battista Decollato con accanto un convento per dodici religiosi di cui quattro fossero sacerdoti per officiare la chiesa. Affidato ai Teatini nel 1597 il complesso della Chiesa e del convento sarà chiamato San Gaetano Nel 1796 i Teatini si ritirarono a San Siro. Nel 1797 la Francia post rivoluzionaria si impadronì di Genova. La chiesa e il convento di San Gaetano vengono affittati al comune dal Governo Provvisorio per 80 lire. La chiesa di San Gaetano fu avviata a varie destinazioni: polveriera, caserma e peggio ancora. Finita la buriana rivoluzionaria nel 1829 il Governo Sardo, cui era stata annessa la Liguria, affidò il complesso di San Gaetano ai Canonici Regolari Lateranensi. Nel 1837 infuriando a Sampierdarena il colera la chiesa di San Gaetano fu usata come ospedale per i colerosi. Il legittimo proprietario nella catena delle successioni era Giovanni Battista D’Efivaller Centurione . Riacquista i beni perduti e nel 1843 la chiesa profanata, fu benedetta, riconsacrata e riaperta al pubblico. Quando poi il comune cominciò a pensare di trasformare il Convento in Scuole pubbliche Mons. Magnasco acquista chiesa e convento per consegnarlo a Don Bosco. E siamo nel 1872, il 16 luglio, festa della Madonna del Carmelo . Don Bosco scende a Genova per concludere il contratto e ringraziare Mons Magnasco. Occorre però reperire le 37 .000 Lire per l’acquisto . La Provvidenza interviene visibilmente. Don Bosco ha in tasca 30 Lire. Espone il problema al vescovo che gli consiglia di recarsi, a nome suo, a Sestri e chiedere aiuti alla baronessa Cataldi Parodi. E arrivarono 30.000 Lire. Mons. Magnasco aggiunge 5.000 Lire, le 2000 mancati arrivarono da raccolte da benefattori. L’Ospizio san Vincenzo de’Paoli nasce dalla carità e vive della carità.

Rose e spine nella nuova dimora

Se a Marassi si era a disagio, nel nuovo ambiente c’era poco da rallegrarsi: la Chiesa fatiscente e il convento in condizioni pietose. A volte la mancanza di tutto, persino del pane, metteva i nuovi arrivati a dura prova … Don Albera allora con lo strazio nel cuore, si metteva in giro per Genova in cerca di aiuto. I ragazzi si radunavano in chiesa, chiedendo con fede il pane quotidiano e il Signore provvedeva il necessario.

A consolare i suoi figli di Sampierdarena venne Don Bosco in persona agli inizi di dicembre. Il Santo si compiacque nel vedere che tutto era abbastanza ben avviato. La chiesa cominciava a funzionare ed i giovani erano già 52. Ma dovette constatare che molto rimaneva da fare, poiché la situazione materiale era davvero precaria. Se il contratto di acquisto venne stipulato il 16 luglio, giorno sacro alla Madonna del Carmine, l’inizio dell’attività salesiana vera e propria nella nuova sede è segnato dalla festa di Maria SS. Immacolata, 8 dicembre. 31 anni prima a Torino Don Bosco, proprio in quel giorno, aveva iniziato l’opera degli oratori festivi con la prima lezione di catechismo a Bartolomeo Garelli.

Reso agibile il convento, ampliata e risistemata la chiesa, a fianco della quale su disegno dell’Ing. Campanella fu innalzata la prima costruzione per i laboratori di Arti e Mestieri. Oltre all’Ospizio destinato ai giovani orfani, si aprì, nello stesso mese di novembre del 1872, anche l’Oratorio festivo ove accorse numerosa la gioventù della città. Dal 1873 si pensò anche agli studenti e furono aperti i primi corsi di latino. Mancavano però i soldi per i lavori … e Don Bosco, cui sta a cuore la nuova Opera, lanciò calorosi appelli in tutte le direzioni. Rispose per primo Pio IX che inviò 2000 Lire. L’esempio, del papa indusse molti altri a fare altrettanto. Così si cominciò a costruire sul terreno che costituiva l’antica villa dei Teatini, acquisita da Don Bosco tre anni prima. Nella pietra angolare, benedetta da Mons. Magnasco, fu collocata una pergamena . In essa dopo la breve storia dell’Istituto il Santo volle aggiungere: “Si pose mano a questi lavori senza al cuna certa risorsa, confidando unicamente nella divina Provvidenza e nella carità delle pie persone . Si hanno tutti i motivi di credere che quest’opera sarà da Dio benedetta e condotta a fine, avendola benedetta il suo Vicario in terra”

7. Il cuore di Don Bosco batte per Genova

Dal 1857 al 1888 Don Bosco fu a Genova per ben cinquanta volte: cinque prima del 1871 e quarantacinque dal 1871 al 1888. Questo dato indica che l’Ospizio San Vincenzo per don Bosco fu quasi una seconda casa e come tale carissima al suo cuore. E giustamente può definirsi Seconda Valdocco, il secondo Ospizio per fanciulli orfani e poveri. Sampierdarena ha bisogno della sua presenza perché la casa era un cantiere in costruzione che creava debiti a non finire.

Prediletta questa casa anche perché base di partenza, di transito e di arrivo dei suoi Missionari. Era inoltre sosta affettivamente obbligata dei suoi frequenti viaggi a Roma, in Francia, in Spagna. Seconda Valdocco perché, per Don Bosco, è “la casa rifugio” per risolvere i problemi che incontra a Torino. A Genova Mons. Magnasco conforta, difende e dà possibilità di attuare le geniali intuizioni del Santo che il vescovo Lorenzo Gastaldi contrasta a Torino. Si pensi al progetto Figli di Maria per le vocazioni adulte che ha dato numerosissimi sacerdoti diocesani e salesiani.

A Sampierdarena Don Bosco allestì una tipografia, la seconda dopo quella di Valdocco, che divenne Salesiana Editrice . Qui potrà stampare il Bollettino Salesiano, senza le difficoltà delle autorità diocesane per l’imprimatur. Il primo numero è stampato nel 1878. Qui potrà stampare le Letture Cattoliche ed ogni altro scritto. Qui ancora sosterrà l’Unione dei Cooperatori.

Mons. Magnasco dà a don Bosco con l’amicizia e l’affetto, il sostegno e la difesa da chi non riusciva a capirne la carica di novità e utilità delle iniziative. Leggiamo nella cronaca della casa: “… Né con l’andare del tempo si raffreddò in Lui (Magnasco) l’affetto, che ogni anno offriva lire duemila per i nostri poveri giovanetti; e poco prima di morire faceva un dolce rimprovero al nostro buon Rettore perché da circa tre mesi non era andato a ricevere il suo obolo e si protestò di volere essere Cooperatore fino alla morte. Cosicché l’Ospizio deve collocarlo fra i più grandi benefattori e considerarlo quasi secondo fondatore” (MB Ceria, XVIII, 396)

Sampierdarena è la Provvidenza per Don Bosco e per la Congregazione. Torino è il punto di partenza di ogni sua iniziativa, Roma punto di conferma di ogni approvazione necessaria alla giovane congregazione, Sampierdarena il luogo nel dare vita alle sue geniali e carismatiche intuizioni. Mentre a Torino c’è Mons Lorenzo Gastaldi, uomo del diritto e della lettera, a Genova, in contemporanea, c’è Mons. Magnasco, uomo della magnanimità e dello spirito che appoggia e sostiene l’azione apostolica del Santo.

8. Segni della presenza del Buon Padre Don Bosco

Nel 1884 Don Bosco volle aggiungere alla chiesa diventata parrocchia il campanile. Lo volle alto più di tutti gli altri della città … Era l’ultimo lembo di terra patria che vedevano i missionari in partenza per mare da Genova. Accanto al bel campanile resta la cameretta ove il Buon Padre trascorse tanti giorni … cameretta – ora cappella testimone delle meraviglie che la Divina Provvidenza opera per mezzo del Santo.

Nel crollo della chiesa nel bombardamento del 1943 il campanile rimase in piedi in attesa della ricostruzione della sua chiesa che avvenne nel 1955 . Il suono delle campane a festa sono rimaste impresse nel mio ricordo di quella giornata di primavera

Entrando da via Rolando al Don Bosco, subito dopo il portone, sulla parete di sinistra ti accoglie una stupenda fotografia del Padre dei giovani che risale al 1886.

Quante volte mi sono fermato ad osservare quella foto in attesa di un suo sorriso.

Don Alberto

Note.

1. Don Guido Favini , Don Paolo Albera, le petit Don Bosco, Sei 1975 – pag. 41.

2. Citato in “Don Bosco e Genova”, Numero Unico a cura degli ex alievi nel centenario dei Salesiani a Genova (1871-1971) – Scuola Grafica Don Bosco – Sampierdarena – pag. 77

3. Prefazione di Mons Raffaele Forni al libro di Don Guido Favini, Don Paolo Albera, “Le petit Don Bosco” pag.8

4. Antonio Miscio,La Seconda Valdocco I, Elledici, 2002, pag. 50